Alessio, Mario, Emanuele, Stefano. Monte Cesen, 1.570 m (TV)
Santità sotto il segno della croce
“Già più volte ho spiegato nelle mie relazioni per gli Annali della benemerita Società di Colonia che le opere di Dio nascono sempre ai piedi del Calvario e che hanno impresso il contrassegno della Croce” (Scritti 5585).
Santità, passione missionaria, esperienza di Dio, fede, coraggio, capacità di perseverare anche in situazioni di grande sofferenza e sacrificio, e soprattutto croce, sembrano costituire un tutt’uno nella vita di san Daniele Comboni.
Avvicinando la persona e l’esperienza missionaria di san Daniele Comboni non è difficile capire che c’è un rapporto molto stretto tra santità e croce, tra riconoscimento della presenza di Dio nella vita e nel fare del missionario e il calvario come strada che conduce alla croce.
La santità missionaria in questo modo si rivela a noi come un sentiero che si allarga ogni giorno per creare lo spazio dove le croci possano diventare luoghi fecondi di presenza di Dio, luoghi dove si manifesta l’unica santità, che appartiene a Dio, la santità che ci fa entrare nel mistero di salvezza offerto a tutta l’umanità in Cristo il crocifisso.
Nella spiritualità comboniana, come in qualsiasi spiritualità che ha come scopo principale aprire cammini che portino alla santità, la croce non è una semplice immagine o uno strumento magico, né tantomeno l’amuleto utile per scacciare i fantasmi delle nostre paure.
La croce è il luogo dove Dio si manifesta, senza nascondere niente della sua divinità, capace della totale rinuncia a sé stesso per mostrare fino a dove può arrivare l’amore che è il contrario della morte e della distruzione rappresentate dalla croce.
La croce è il segno che ci permette di riconoscere nella nostra vita ciò che proviene da Dio perché è lì, nella croce, che si manifesta l’amore di Dio il quale non ha risparmiato suo Figlio, l’unico, che amava come soltanto Dio può amare.
Anche se può sembrare contraddittorio, l'esperienza ci insegna, attraverso la vita dei santi di tutti i tempi, che non c'è un'altra strada per arrivare alla santità se non quella della croce vissuta per amore e nell'amore.
P. Celestino Prevedello MCCJ
Le croci sono scuola di santità
“Queste suppliche non devono avere per scopo l’allontanamento delle croci, delle sofferenze, delle pene e delle privazioni poiché la croce e le più grandi tribolazioni sono necessarie per la conversione, per la stabilità e i progressi delle opere di Dio che devono sempre nascere, crescere e prosperare ai piedi del Calvario” (Scritti 5258).
Sicuramente molte volte ci siamo chiesti perché è necessaria la croce e tutto quello che essa rappresenta per poter fare la nostra esperienza di santità.
Credo che la vita ci insegni con molta semplicità che solo quando arriviamo a toccare con mano le nostre povertà, i nostri limiti, la nostra debolezza; solo quando la sofferenza ci colpisce e il dolore ci obbliga a piegare le ginocchia, soltanto allora ci accorgiamo di non essere Dio e soltanto allora cominciamo ad offrire a Dio la possibilità di manifestarsi in noi. Questo è possibile solo quando scopriamo la presenza della croce come parte della nostra vita e quando cominciamo a capire che le croci non sono una tragedia, ma piuttosto un’occasione, un’opportunità per entrare nel mondo di Dio.
Le croci sono necessarie nella pedagogia della santità perché sono scuola di conversione che ci risveglia ai valori contenuti in quella che noi chiamiamo santità. La conversione orienta la nostra vita a Dio e ci permette di fare delle scelte che vanno nel senso di quello che è importante per Dio. Si può dire che le croci ci rendono sensibili ai desideri di Dio che portiamo in noi e questo non è altro che la vera santità.
In questo senso, diventare santi non vuol dire essere perfetti e la nostra umanità ci ricorda ad ogni istante che mai potremmo diventare il centro della nostra esistenza, mai potremmo allontanare dalla nostra esperienza di vita il sacrificio e il dolore della morte che fanno parte del nostro essere umani. Questo vuole dire, come ha capito Comboni, che la nostra santità diventa vera quando impariamo che parlare di santità è un dono che nasce ai piedi del Calvario, il luogo della morte, che è allo stesso tempo il luogo dove il Signore ci mostra che è Lui il padrone della vita. È lì che tutto comincia e dove Dio ci fa capire che essere santi non è altro che vivere l’amore fino in fondo, fino alla disponibilità estrema di dare la propria vita, quello che siamo, per amore.
La croce è cammino dell’umanità verso la santità
“Già vedo e comprendo che la croce mi è talmente amica, e mi è sempre sì vicina, che l'ho eletta da qualche tempo per mia Sposa indivisibile ed eterna. E colla croce per sposa diletta e maestra sapientissima di prudenza e sagacità, con Maria mia madre carissima, e con Gesù mio tutto, non temo, o E.mo Principe, né le procelle di Roma, né le tempeste d'Egitto, né i torbidi di Verona, né le nuvole di Lione e Parigi; e certo a passo lento e sicuro camminando sulle spine arriverò ad iniziare stabilmente e piantare l'Opera ideata della Rigenerazione della Nigrizia centrale, che tanti hanno abbandonata, e che è l'opera più difficile e scabrosa dell'apostolato cattolico” (Scritti 1710).
Leggendo questo testo di Comboni si capisce con chiarezza che le croci che portano alla santità non sono quelle che possiamo inventarci noi e non possono essere frutto della nostra scelta. La croce è un dono che dobbiamo riconoscere nel nostro andare per la vita, dono che ci invita a capire la nostra esistenza in un altro modo, con un’altra logica, che è quella di Dio. La logica della dimenticanza di sé, della rinuncia al calcolo, dell’andare controcorrente, del riconoscersi deboli per avere la forza che nessuno può toglierci.
È la logica dei piccoli che scoprono la loro grandezza in Dio, che vedono trasformare la povera umanità in santità straordinaria. Questa è la croce degna di diventare amica, vicina, eletta e anche sposa, come dice Comboni, perché è quella che ci insegna la sapienza di Dio, che ci fa diventare prudenti e sagaci, che ci fa vivere la santità che non è altro che vivere di Dio.
È questa la croce che genera la santità che riempie il cuore di coraggio, di fede, di speranza. È la croce dove possiamo inchiodare i nostri timori, i nostri dubbi, i nostri piccoli e grandi egoismi. È la croce dove accettiamo di morire a noi stessi per aprirci al dono della nostra vita a quelli che siamo chiamati ad amare senza mettere limiti e senza nasconderci dietro i nostri interessi.
È santità missionaria perché ci orienta verso gli altri, verso quelli che non contano agli occhi del mondo, verso quelli che rappresentano oggi il Signore in croce.
Sono le croci che accrescono la forza e il coraggio quando tutto ci sembra perduto e quando le nostre forze non ci permettono di stare in piedi, perché ci obbligano a rimanere attaccati al Signore e a riconoscerlo come la nostra unica forza.
Sono le croci che ci fanno vivere nella fedeltà al Signore che ci ha chiamato assicurandoci che non ci lascerà mai da soli. Sono le croci che riempiono il nostro cuore di pace quando tutto ci sembra confuso e impossibile da sopportare. Sono croci non scelte ma offerte come cammino verso la santità.
La croce è una bella cosa
“La via che Dio mi ha tracciato è la croce. Ma siccome Cristo, che per l’umana ingiustizia morì in Croce, aveva la testa diritta, così è segno che la croce è una bella cosa ed è una cosa giusta. Dunque portiamola, e avanti” (Scritti 6519).
Un’altra domanda che possiamo farci è quali sono le croci che dobbiamo portare, andando avanti con coraggio, sicuri che sono strumenti di santificazione.
Come Comboni anche noi troviamo la croce in tante esperienze che costituiscono il tessuto della nostra vita. La croce è la sofferenza che vediamo in tante parti del nostro mondo dove siamo presenti come missionari, la violenza, l’insicurezza, la guerra, la negazione dei diritti fondamentali delle persone. La croce ha il volto della paura, della delusione che contempliamo in tanti giovani che non hanno un futuro sicuro, ha il volto della frustrazione che vivono tanti dei nostri contemporanei che non trovano il senso della vita. La croce è l’ingiustizia, la corruzione, la menzogna, lo sfruttamento degli altri che sembrano essere le regole vincenti della nostra società.
Quante volte Comboni ha contemplato il suo mondo devastato da tante sofferenze, abbandonato da tutti, condannato e dimenticato dai potenti. Un mondo nel quale non sembrava ci fosse la possibilità di sognare un futuro di speranza e di pace. E lui è stato l’uomo della fede, del coraggio, dell’impegno totale, è stato il santo che ha visto quello che gli altri non erano capaci di vedere.
Anche noi siamo in una realtà, in un mondo dove il panorama non è molto diverso e ci troviamo davanti alla sfida di credere, di sperare e di lavorare sostenuti dalla forza del Signore che ci vuole santi.
Ma anche ai tempi di Comboni c’erano altre croci che ha dovuto portare nonostante la sofferenza che producevano. La croce della mancanza di personale per una missione vasta come un continente. La croce della povertà dei suoi missionari non sempre così bravi e generosi come lui desiderava. La croce della malattia che tanti dei suoi missionari portavano. La croce della precarietà delle risorse materiali, mai sufficienti per rispondere alle urgenze della missione. La croce delle esigenze della missione non facile che scoraggiava alcuni e li portava ad abbandonare.
Anche noi oggi facciamo la stessa esperienza, ci sentiamo sommersi in un mondo che cambia velocemente e che sembra non voler ascoltare la nostra proposta, portiamo con noi la croce dell’indifferenza degli altri. Oggi, essere missionario non risveglia l’interesse dei nostri contemporanei, anzi, alle volte veniamo guardati con sospetto.
Oggi facciamo esperienza di vedere diminuire le nostre forze, i nostri numeri. Siamo un piccolo Istituto, quasi sconosciuto nel mondo. Ci preoccupa vedere le nostre case di formazione quasi vuote e viviamo con tristezza l’allontanamento di alcuni dei nostri giovani che vogliono vivere altre cose.
Anche noi portiamo oggi la croce di tante debolezze e della povertà della nostra umanità. Portiamo le croci delle nostre incapacità a vivere fino in fondo i nostri impegni come consacrati, la croce della nostra autosufficienza, del nostro orgoglio che ci intrappola nelle dinamiche dell’individualismo che ci impedisce di creare autentiche fraternità e vivere in profonda comunione. C’è la croce della comodità, della difficoltà a vivere con un più grande spirito di sacrificio, la croce della superficialità e del desiderio di non essere disturbati. C’è la croce della superficialità spirituale che ci porta a vivere immersi nel fare, trascurando i nostri rapporti con il Signore, con i fratelli e con la gente che troviamo nella missione. C’è la croce che ci fa credere che le nostre idee sono le uniche, i nostri progetti i migliori e i nostri stili di vita intoccabili.
Sono croci che ci sfidano a dare una svolta alla nostra esistenza, alla nostra concezione della vita, al nostro impegno come consacrati e come missionari. Sono croci che ci invitano a entrare in un processo di santificazione che vuol dire mettere in discussione quello che riteniamo sicuro, proprietà nostra.
Sono croci che sicuramente parlano di morte, ma non dobbiamo dimenticare che la croce vera è quella che apre alla vita, che la croce del Signore diventa sempre albero di vita e di santificazione per tutti quelli che credono.
Le croci non ci spaventano e, come san Daniele Comboni, anche noi possiamo fare l’esperienza di far diventare le croci del mondo, dell’Istituto e le nostre personali un’occasione per vivere un incontro più profondo con il Signore, per scoprire insieme con Lui che continua a essere Lui che ha la parola di vita e che soltanto partendo da Lui, anche le nostre croci possono diventare luoghi di santità.
Che l’intercessione di san Daniele Comboni ci aiuti a vivere le nostre croci come un dono e un’opportunità per diventare i santi di cui la missione ha bisogno.
Buona festa di san Daniele Comboni
Roma 10 ottobre 2011
P. Enrique Sánchez González
Superiore Generale