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PERSECUZIONE RELIGIOSA SONO 825 I MORTI DAL 2003
L' appello del Papa per i cristiani in Iraq «Il governo li salvi»
A Mosul in corteo contro il massacro
CITTÀ DEL VATICANO - «Sono affettuosamente vicino alle comunità cristiane dell' intero Paese: non stancatevi di essere fermento di bene per la patria a cui, da secoli, appartenete a pieno titolo!». Benedetto XVI ha ammonito ieri le autorità dell' Iraq, «mi auguro che non si ceda alla tentazione di far prevalere gli interessi temporanei e di parte sull' incolumità e sui diritti fondamentali di ogni cittadino», e sillabato le ultime parole, «a pieno titolo», mentre in piazza San Pietro un gruppo di suore, preti e fedeli iracheni innalzava croci, bandiere e striscioni, «non ce la facciamo più». Poche ore prima, un migliaio di cristiani a Mosul («Il sangue degli innocenti vi chiama»)e altre centinaia a Bagdad e in una decina di città e villaggi dell' Iraq avevano sfilato in silenzio «contro il massacro» di una comunità che risale al II secolo, otto persone nelle ultime due settimane, «825 cristiani uccisi dal 2003», volantini di minaccia nelle vie dei cristiani, una «strategia sistematica», denuncia la Santa Sede, che fa fuggire i fedeli e ne ha dimezzato (sono l' 1 per cento) il numero in pochi anni. Così il Papa, che ha convocato per ottobre un sinodo sul Medio Oriente, ha dedicato loro l' Angelus di ieri: «Ho appreso con profonda tristezza le tragiche notizie delle recenti uccisioni di alcuni cristiani a Mosul e seguito con viva preoccupazione gli altri episodi di violenza, perpetrati nella martoriata terra irachena ai danni di persone inermi di diversa appartenenza religiosa». Durante la settimana di esercizi spirituali «ho pregato spesso per tutte le vittime di quegli attentati», ha spiegato Benedetto XVI: «Nella delicata fase politica che sta attraversando l' Iraq mi appello alle autorità civili, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili». Un appello al mondo: «Esorto la comunità internazionale a prodigarsi per dare agli iracheni un futuro di riconciliazione e di giustizia, mentre invoco con fiducia da Dio onnipotente il dono prezioso della pace». Gian Guido Vecchi
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ELZEVIRO GLI SCRITTI DI MANGANELLI, CALASSO E TERZANI
OLTRE L' ESOTISMO: GLI ITALIANI IN INDIA
Qui il divino è presente nei gesti quotidiani
Nel 1961, nel decennale dell' indipendenza, arrivano a Bombay due tra i più famosi scrittori italiani del tempo: Alberto Moravia, che i Penguin Books hanno fatto diventare famoso anche in India, e Pier Paolo Pasolini, l' autore-rivelazione di Ragazzi di vita e Una vita violenta, non ancora regista. Il primo impatto è devastante: la miseria atroce, i mendicanti, i lebbrosi, la sporcizia, le vacche «magre in modo osceno», le centinaia di persone che dormono sui marciapiedi, e il loro sonno è così fondo che «sembrano dei morti avvolti in sudari strappati e fetidi». Ma vedono anche la pazienza, la tenerezza, la sconvolgente mitezza indù. Quindici anni più tardi viaggia in India Giorgio Manganelli, e la grande qualità e finezza della sua scrittura riesce ad avvicinarci all' India in un modo un po' più approfondito. Anche per lui l' India rimane lo shock per eccellenza, insieme fisico e metafisico. Percorrendo la sterminata periferia di Bombay, pensa che «la sensazione che provocano le casupole infime, sudice, infette, barcollanti tra rigagnoli e immondizie, è stranamente liberatrice: non c' è alcun tentativo di velare, di nascondere, di eludere; la fondamentale sporcizia dell' essere, la sua qualità escrementizia e torbida, viene vissuta con pacatezza». Siamo nel Paese in cui esistono ancora i Maestri, i Profeti, e quando si parla di Verità si allude alla verità totale, cosmica. Viaggiare in India significa consegnarsi «al deposito di sogni, l' unico luogo dove esistono ancora gli dèi, ma come delegati di un Dio sprofondato in sé medesimo e contemporaneamente incarnato ovunque, un luogo di templi e di lebbrosi, dal quale il sorriso di Buddha o di Shiva non sono mai stati cancellati, morbidi e incomprensibili, estatici e mortali». Per Manganelli, diversamente da Moravia e Pasolini, non ci sarà per l' India una salvezza che non sia religiosa. L' India non è e non può diventare l' Occidente. Il modo asiatico di scoprire gli dèi è un procedimento «che si alimenta di una vocazione ai sogni e da un lato ne ha l' infinita inconsistenza e l' erratica inventività; e insieme riesce a pietrificare codesta materia sognata, lasciandole tutta la sua sterminata dilatazione labirintica, la genealogia delle incarnazioni, tutte successive e tutte contemporanee. Questo non è un luogo di vero e di falso, ma di una potenza fantastica...». Sarà proprio questa potenza fantastica ad affascinare Roberto Calasso, che ai magici intrecci delle antiche mitologie ha dedicato il suo ipnotico saggio-racconto Ka. Oggi lo scrittore italiano il cui nome viene quasi automaticamente associato all' India è quello di Tiziano Terzani, che in India aveva vissuto cinque anni, e tuttavia continuava a sentirsi, diceva, come un marziano che fosse arrivato nella Firenze di Dante e avesse preteso di capirla visitando qualche chiesa e ignorando i Vangeli. Da qui la decisione di affrontare i loro testi sacri. Per lui la sola vera grande rivoluzione che il Paese abbia mai conosciuto è stata religiosa, quella del buddhismo, cinque secoli prima della nascita di Cristo. Uno dei sui grandi valori religiosi, ahimsa, la non-violenza, ha plasmato a tal punto il carattere degli indiani che per almeno tremila anni non hanno invaso un altro Paese, non sono mai entrati da conquistatori nelle terre altrui. Hanno esportato sì la loro civiltà, la loro arte, i loro dei, ma attraverso architetti, scultori, sacerdoti, pensatori, scrittori. Così verso la fine dei suoi giorni, quando si è scoperto una malattia mortale e ha deciso di imparare a morire, cioè ad abbandonare il proprio involucro carnale, Terzani si è ritirato sull' Himalaya, e ha iniziato a studiare il sanscrito, convinto che l' origine di tutto sia in India, in quell' India che ha inventato lo zero e ha inventato l' Uno. Ancora oggi, ci avvertiva Terzani, nell' India pur modernizzata e in parte occidentalizzata, il divino è presente nella quotidianità della gente come in nessun altro Paese. È nel contadino che automaticamente tocca la terra prima di uscire di casa al mattino, e nel gesto di versare alcune gocce d' acqua sul cibo prima di mangiarlo; è nel modo stesso in cui la gente si saluta. Noi ci stringiamo la mano dopo averla aperta per mostrare che non nascondiamo armi, qui la gente unisce le mani al petto e si dice reciprocamente namasté: saluto la divinità che è in te. Ernesto Ferrero