Stefano con degli amici di Monaco di Baviera.
La confessione religiosa prevalente in Romania è quella greco-ortodossa: circa l’87% della popolazione. Ma esistono anche i protestanti (7,5%), soprattutto nelle comunità di origine tedesca, e i cattolici (4,7%), in buona parte fedeli della Chiesa Romena Unita con Roma. Questi ultimi sono greco-cattolici, o, secondo l’espressione corrente, uniati, in tutto simili a quei cattolici dell’Ucraina occidentale che hanno conservato la liturgia greca ma riconoscono il primato del vescovo di Roma. Gli uni e gli altri rappresentano piccole ma importanti marche di frontiera lungo il confine che ha separato per molti secoli gli imperi d’Oriente (bizantino, ottomano, russo) dagli Stati del cristianesimo latino o riformato.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, gli uniati ucraini e romeni hanno sofferto una stessa sorte. Mentre la Chiesa ortodossa era “nazionale” e poteva rappresentare in alcune circostanze un docile alleato del sistema comunista, gli uniati erano “romani”, quindi stranieri e potenzialmente, nella percezione del regime, sleali. Un Sinodo convocato a Leopoli nel 1946 segnò la fine della Chiesa uniate ucraina e il trasferimento di tutti i suoi beni alla Chiesa ortodossa. Un decreto del governo di Bucarest nel dicembre 1948 produsse in Romania gli stessi effetti. Da quel momento la storia degli uniati ucraini e romeni fu una storia comune di persecuzioni e clandestinità.
Le loro strade si separarono alla fine della guerra fredda. Giovanni Paolo II approfittò della visita a Roma di Gorbaciov, alla fine del 1989, per sollevare la questione degli uniati ucraini e trovò nel leader sovietico un interlocutore attento, sensibile ai vantaggi che sperava di trarre da un gesto di amicizia verso la Santa Sede. Fu così che i greco-cattolici dell’Ucraina occidentale poterono ritornare in possesso dei loro beni. La restituzione infastidì la Chiesa ortodossa e contribuì a provocare una sorta di scisma fra Mosca e Kiev. Ma il capitolo ucraino si chiuse con la soddisfazione delle rivendicazioni degli uniati. Non altrettanto è accaduto in Romania dove i greco-cattolici vivono da allora in una sorta di limbo e hanno ottenuto soltanto qualche parziale restituzione. La nuova legge, ora in discussione alla Camera dei deputati di Bucarest, riconosce in linea di principio la libertà dei diversi culti presenti sul territorio romeno, ma taglia il nodo delle proprietà ecclesiastiche a vantaggio della chiesa ortodossa. In uno dei suoi articoli si legge che “nelle località rurali dove esistono comunità parrocchiali di entrambe le confessioni, e anche complessi monasteriali, costituiti in forma di persona giuridica, i beni sacri, il luogo di culto, la casa parrocchiale, il cimitero e i terreni afferenti sono di proprietà del culto maggioritario”. E in un altro dei suoi articoli è scritto che lo stesso metodo vale per le località urbane. In un Paese di 22 milioni di abitanti, dove i greco-cattolici sono, grosso modo, un milione, la legge, se approvata dal Parlamento, ridurrebbe drasticamente la proprietà immobiliare della Chiesa uniate.
La proposta ha suscitato reazioni e proteste. I sacerdoti greco-cattolici presenti in Italia hanno chiesto l’aiuto dei vescovi italiani. Il presidente del sinodo dei vescovi romeni, l’arcivescovo maggiore Lucian ha indirizzato una lettera al presidente della Romania Traian Basescu. E una lettera particolarmente indignata è giunta al capo dello Stato romeno dal vescovo John Michael Botean rappresentante di tutti i greco-cattolici degli Stati Uniti. Sergio Romano - Corriere della Sera